TFR quando viene pagato
– Il TFR deve essere liquidato in favore del lavoratore al momento della cessazione del contratto di lavoro.
In questo approfondimento viene ripreso il tema di quando debba essere pagato il TFR ai dipendenti, argomento già trattato in precedenza in questo corposo ed esaustivo articolo
Come viene pagato il TFR – Torna all’indice ^
Il TFR viene pagato in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto di lavoro oppure, su richiesta del lavoratore, può essere versato in rate mensili. In quest’ultimo caso, le quote vengono corrisposte per un periodo di tempo non superiore a cinque anni.
Se il dipendente ha contratto una polizza assicurativa per la liquidazione anticipata del TFR, tale somma verrà corrisposta direttamente dall’assicurazione.

Come fare a sapere quando arriva – Torna all’indice ^
Viene pagato al momento del recesso dal lavoratore, solitamente alla cessazione del rapporto di lavoro. In generale, tuttavia, viene pagato entro 12 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e il dipendente può scegliere se riceverlo in un’unica soluzione o come una pensione mensile a vita.
Se si hanno dubbi sul momento preciso in cui si riceverà il Tfr, è bene contattare il proprio datore di lavoro o l’ufficio del personale per chiedere maggiori informazioni.
Come si fa a sapere se il TFR viene pagato – Torna all’indice ^
Se non viene erogato entro i tempi previsti, il lavoratore può presentare una domanda di pagamento all’INPS. Inoltre, in alcuni casi è possibile inviare un ricorso al Giudice del lavoro.
Per verificare lo stato del pagamento del proprio TFR è possibile consultare la propria posizione sull’applicazione “Cassetto previdenziale” dell’INPS.
Si tratta di un servizio online che consente di visualizzare le informazioni relative a trattamenti previdenziali ed assistenziali.
Quanto tempo ci vuole per avere il TFR dall’INPS? – Torna all’indice ^
Quando si parla di TFR, è importante distinguere tra due situazioni principali: il caso in cui il lavoratore ha deciso di lasciare il proprio TFR in azienda e quello in cui ha optato per la destinazione alla previdenza complementare gestita dall’INPS.
- TFR lasciato in azienda: Se il lavoratore ha deciso di mantenere il TFR presso l’azienda, quest’ultima è tenuta a pagarlo entro 30 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. Tuttavia, in alcuni casi particolari e previa negoziazione, i tempi potrebbero allungarsi leggermente
- TFR destinato alla previdenza complementare presso l’INPS: Se invece il lavoratore ha optato per la previdenza complementare gestita dall’INPS, le tempistiche possono variare. In generale, l’iter burocratico prevede un’attesa che può andare dai 60 ai 90 giorni dalla presentazione della domanda, sempre che tutta la documentazione sia completa e corretta
Comprendere queste tempistiche aiuta i lavoratori a prepararsi meglio per il periodo di transizione, pianificando adeguatamente le proprie finanze. Per ulteriori dettagli e aggiornamenti, è sempre utile consultare direttamente il sito dell’INPS o rivolgersi agli uffici competenti.
Quali sono i tempi per la liquidazione del TFR – Torna all’indice ^
La liquidazione del TFR avviene generalmente in due tempi: una parte viene corrisposta all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, mentre la restante viene versata entro 60 giorni dalla fine del rapporto.
Nel caso in cui la liquidazione non avvenga entro i termini previsti, il lavoratore ha diritto al pagamento di interessi legali nella misura prevista dalle disposizioni vigenti.
Sollecitare il pagamento del TFR – Torna all’indice ^
Una volta inviata la domanda, l’azienda ha l’obbligo di procedere al pagamento entro 60 giorni, pena sanzioni previste dalla legge italiana.
Se il termine non viene rispettato, è possibile sollecitare azienda con una diffida con raccomandata a/r.
Nel caso in cui non venga ancora corrisposto il TFR, è possibile invocare la mediazione presso le sedi territorialmente competenti dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS)
Cosa succede se il TFR viene pagato in ritardo – Torna all’indice ^
Infine, se le somme non sono state versate neanche dopo un anno dalla data della scadenza, il lavoratore può proporre una causa civile per richiedere la restituzione del TFR e gli interessi maturati.
Cosa succede se il datore di lavoro non paga il TFR – Torna all’indice ^
Il dipendente può anche rivolgersi all’INPS per ottenere un risarcimento diretto. Inoltre, è possibile chiedere un anticipo del TFR al datore di lavoro prima della cessazione del contratto di lavoro.
In caso di mancato pagamento, è possibile presentare una denuncia al Ministero del Lavoro e alle Autorità competenti.
Se il datore di lavoro non adempie ai suoi obblighi, può essere applicata una sanzione amministrativa fino a 1.000 euro per ogni dipendente che non ha ricevuto il TFR.
Documentazione per attestare il pagamento del TFR in caso di fallimento – Torna all’indice ^
La certificazione unica (ex modello CUD) non è sufficiente a dimostrare l’erogazione del trattamento di fine rapporto (TFR) da parte di una società fallita a favore di un suo ex dipendente. È quanto ha confermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28798/2024, pubblicata l’8 novembre 2024.
Il caso
In seguito alla verifica del passivo di un’azienda, il Giudice Delegato rifiutava la domanda presentata da un ex lavoratore della società fallita per il riconoscimento di un credito a titolo di trattamento di fine rapporto. Il rifiuto era basato sul fatto che dal CUD depositato dallo stesso lavoratore risultava l’aver ricevuto il pagamento del trattamento richiesto.
Successivamente, il Tribunale presso il quale il lavoratore aveva impugnato lo stato passivo confermava la decisione del Giudice Delegato, osservando che il pagamento del TFR era stato adeguatamente dimostrato tramite il CUD, che, essendo emesso dalla parte datrice di lavoro, costituiva prova vincolante per la curatela, considerata soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro.
La documentazione era chiara e non contestata dal lavoratore, pertanto si poteva ragionevolmente ritenere che il credito per il quale era stata richiesta l’ammissione al passivo fosse già stato soddisfatto.
Di conseguenza, il lavoratore, non avendo avuto successo in entrambi i procedimenti, portava la questione davanti alla Corte di Cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, la presunta applicazione errata dell’art. 2697 del codice civile, in quanto il CUD, essendo un documento unilaterale fornito dal datore di lavoro, non poteva dimostrare l’esistenza di situazioni estintive del credito rivendicato.
Si sottolineava anche che non era stata fornita alcuna prova da parte del curatore riguardo all’esistenza di fatti estintivi del debito.
La decisione
La Corte ha ritenuto fondata la motivazione del ricorso e, accogliendolo, ha rinviato la causa al tribunale originario, in una composizione differente.
Ha ribadito un orientamento costante, chiarendo che buste paga e Certificazione Unica (CUD), provenienti dal datore di lavoro e in assenza di altri elementi probatori come quietanze, assegni o bonifici, non costituiscono prova del pagamento del credito ivi documentato, poiché provengono dalla parte interessata a contestare il credito.
Nel decidere sul ricorso, i giudici hanno fatto osservare che:
- Documenti provenienti dalla parte che desidera avvalersene non possono essere considerati come prova a suo favore né determinano, in caso di contestazione, l’inversione dell’onere probatorio.
- Non è corretto considerare il curatore come terzo rispetto al datore di lavoro; se intende avvalersi di documenti della parte fallita, egli assume la stessa posizione processuale, con conseguenti implicazioni sulla rilevanza probatoria di tali documenti.
- Una volta acquisito un mezzo di prova (documento, testimonianza, informazioni da pubbliche amministrazioni, ecc.), il Giudice è tenuto a utilizzarlo completamente, sia a favore che contro la parte che lo ha presentato.
- Chi esibisce un documento non può separarne il contenuto per affermare soltanto i fatti a proprio favore, negando quelli a suo sfavore, a meno che non si preavvisi di voler utilizzare il documento solo parzialmente e non abbia fornito prove sufficienti per contestare gli aspetti negativi desumibili.
- Il principio dell’inscindibilità del contenuto del documento prodotto da una parte è valido solo se si riferisce a documenti redatti da un soggetto terzo; in questo caso, la parte che presenta il documento non può selezionare e rimuovere gli aspetti sfavorevoli per i propri interessi.
Nel caso specifico, il Tribunale ha concluso che, considerando che il lavoratore aveva negato di aver ricevuto il TFR maturato, contestando così quanto sostenuto dalla procedura concorsuale, non si poteva considerare estinto il credito basandosi solamente sulla documentazione fornita dalla fallita, anche se prodotta dalla curatela.
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Informazioni sull'Autore
Avvocato giuslavorista, si occupa di diritto del lavoro e previdenziale in ambito pubblico e privato. Grazie ad una rigorosa analisi delle dinamiche che caratterizzano il mondo del lavoro riesce a garantire una consulenza altamente professionale, fornendo soluzioni pragmatiche e soddisfacenti.
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