La Corte di Cassazione conferma la reintegrazione di un dipendente licenziato illegittimamente
Roma, 25 ottobre 2024 – La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, ha emesso un’ordinanza (n. 27698) che conferma la sentenza della Corte d’Appello di Milano riguardante il licenziamento disciplinare di un dipendente da parte di una società.
La decisione, depositata il 25 ottobre 2024, ha rigettato il ricorso presentato dalla società, confermando la reintegrazione del dipendente nel suo posto di lavoro e il pagamento di un’indennità risarcitoria.
I fatti
Il caso ha avuto origine il 14 ottobre 2020, quando il dipendente è stato licenziato per motivi disciplinari. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 718/2022, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, ordinando la reintegrazione del dipendente e il pagamento di un’indennità risarcitoria pari all’ultima retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento fino alla reintegrazione, entro il limite massimo di 12 mensilità.
Inoltre, la società è stata condannata al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il periodo dal recesso al ripristino del rapporto.
Le motivazioni della Corte d’Appello
La Corte d’Appello ha ritenuto che le condotte del dipendente, sebbene antigiuridiche, non fossero di gravità tale da giustificare il licenziamento. In particolare, è stato evidenziato che l’ingresso del dipendente sul luogo di lavoro, fuori dal suo turno di servizio, non è avvenuto con violenza o sotterfugi e che non vi è prova che egli si sia sottratto ai controlli per la temperatura corporea o che non indossasse i dispositivi di protezione individuale necessari.
Inoltre, la Corte ha sottolineato il ruolo del dipendente come rappresentante sindacale e il contesto di manifestazioni di protesta in corso.
Il ricorso in Cassazione
La società ha presentato ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di contestazione, tra cui la violazione degli articoli 2104 e 2119 del codice civile e dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. T
uttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.
Le conclusioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ribadito che la contrattazione collettiva vincola in senso favorevole al dipendente e che, in questo caso, le condotte contestate rientrano tra quelle punibili con sanzioni conservative. Pertanto, il licenziamento è stato ritenuto privo di giustificazione.
La Corte ha inoltre sottolineato che il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato è devoluto al giudice di merito e non può essere sindacato in sede di legittimità, salvo vizi giuridici evidenti.
Le spese processuali
La Corte ha condannato la società al pagamento delle spese processuali, liquidate in 5.000 euro, oltre a 200 euro di esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge. Inoltre, la società dovrà versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Questa ordinanza rappresenta un’importante conferma della tutela dei diritti dei lavoratori e del ruolo della contrattazione collettiva nel garantire sanzioni proporzionate alle condotte contestate.

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Avvocato giuslavorista, si occupa di diritto del lavoro e previdenziale in ambito pubblico e privato. Grazie ad una rigorosa analisi delle dinamiche che caratterizzano il mondo del lavoro riesce a garantire una consulenza altamente professionale, fornendo soluzioni pragmatiche e soddisfacenti.
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