Assegno mantenimento coniuge e figli a carico

– Novità legislative e di prassi giuridica in tema di assegno di mantenimento

Quali sono le novità legislative e di prassi giuridica in tema di assegno di mantenimento? – Torna all’indice ^

Oltre a rispondere a questa domanda, nel nostro focus tratteremo anche un paio di novità introdotte dalla Cassazione legate all’obbligo (o meno) di mantenimento dei figli maggiorenni.

Cos’è l’assegno di mantenimento? Si tratta di un provvedimento economico che può essere assunto dal giudice o come frutto di accordi liberamente sottoscritti dai coniugi in sede di separazione.

L’assegno di mantenimento consiste nel pagamento di una certa somma in denaro, modificabile nel tempo, al coniuge economicamente più debole o ad eventuali figli nati dal matrimonio.

Se vuoi scoprire di più sulle spese ordinarie e straordinarie per il mantenimento dei figli, puoi approfondire l’argomento qui.


Ricordiamo i requisiti necessari per ottenere l’assegno di mantenimento:
– non deve essere attribuita la colpa per la fine del matrimonio (addebito della separazione)
– non percepire alcun reddito
– non convivere con un nuovo partner (in tal caso, ti parleremo di una novità legislativa)

Recentemente la riforma Cartabia in tema di diritto di famiglia ha toccato anche la tematica del pagamento dell’assegno di mantenimento in caso di inadempimento da parte del coniuge obbligato. Vedremo di seguito quali sono le principali novità introdotte e la procedura da seguire per recuperare le somme che spettano all’avente diritto.

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Riforma Cartabia: in caso di inadempimento del coniuge nel pagamento dell’assegno di mantenimento interviene il datore di lavoro – Torna all’indice ^

In caso di ritardo nel pagamento dell’assegno di mantenimento per oltre 30 giorni, è possibile chiedere il saldo al datore di lavoro o alle altre fonti di reddito del coniuge moroso, senza la necessità di avviare la procedura per richiedere un pignoramento per recuperare il credito.

Questa possibilità introdotta attraverso la Riforma Cartabia riguarda tutti i soggetti che hanno diritto all’assegno di mantenimento ovvero:

• il coniuge ancora a carico dell’ex marito/moglie
• il genitore che percepisce il mantenimento per i propri figli

La disposizione in oggetto è valida sia in caso di separazione, divorzio e procedimenti tra ex conviventi.

Qual è la procedura per ottenere il pagamento diretto del mantenimento?

La norma del codice di procedura civile, stabilita nel nuovo articolo 473 bis numero 37, illustra la procedura da seguire per ottenere il pagamento diretto.

Il primo step consiste nella messa in mora del debitore, invitandolo a saldare il proprio debito. Trascorso il termine di 30 giorni indicato dalla diffida sarà possibile richiedere il pagamento diretto dellassegno di mantenimento.

Per farlo, bisognerà notificare al debitore e al soggetto terzo (il datore di lavoro) il provvedimento in cui è stabilito l’obbligo di mantenimento, come ad esempio la sentenza o l’accordo di separazione/divorzio: con tale comunicazione il creditore chiederà ufficialmente il pagamento diretto delle somme al datore di lavoro.

Ricordiamo che anche il mancato pagamento di una sola mensilità sarà sufficiente per autorizzare il creditore ad avviare la procedura.

Il datore di lavoro come deve comportarsi?

La norma stabilisce cheil terzo è tenuto al pagamento dell’assegno dal mese successivo a quello in cui è stata effettuata la notificazione. Se il terzo non adempie, il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovute”.

A differenza del pignoramento dello stipendio, inoltre, questa norma non prevede alcun limite percentuale: il coniuge/genitore potrà chiedere il versamento dell’intera somma anche laddove questa superi il quinto o la metà dello stipendio del debitore.

La modifica dell’assegno di mantenimento – Torna all’indice ^

Quali sono le modifiche che si possono apportare alla somma prevista da versare con l’assegno di mantenimento?

Può verificarsi la circostanza che il coniuge obbligato a corrispondere l’assegno di mantenimento non riesca ad arrivare a fine mese perché ha perso il lavoro, oppure si è creato una nuova famiglia o per altri motivi diversi dai precedenti elencati.

Per legge, è possibile chiedere una revisione dellassegno di mantenimento se:

– la situazione economica di uno dei due coniugi peggiora
– il reddito di uno dei due coniugi aumenta

Per la revisione (riduzione o aumento) dell’importo dell’assegno, l’interessato deve presentare istanza al giudice allegando tutti i documenti che attestino il motivo della richiesta di revisione. Lo stabilisce la Cassazione con sentenza n. 18530 del 7 settembre 2020.

Spetterà al giudice valutare la situazione: dopo la verifica dei documenti potrà respingere la domanda oppure ridurre o aumentare l’importo dell’assegno.

L’ordinanza 18612/2020 della Cassazione ha, inoltre, chiarito quanto segue: il fatto che il marito separato si trasferisca all’estero (dove magari la vita è meno cara) non è un motivo valido per ottenere la riduzione dell’assegno di mantenimento a meno che non dimostri che le sue condizioni economiche siano peggiorate.

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La Riforma Cartabia: Revisione delle condizioni di separazione e divorzio – Torna all’indice ^

Le parti che iniziano una procedura di revisione delle condizioni di separazione, o di divorzio non dovranno più fare riferimento rispettivamente agli art. 710 c.p.c. per la revisione delle condizioni di separazione e all’art. 9, c. 1 della legge n.898 del 1970 per la revisione di quelle di divorzio, abrogati dalla riforma, ma all’art. 473-bis.29 c.p.c..

Le parti possono così avanzare richiesta di revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici quando vogliono, senza termini né scadenze.

Per poter procedere alla richiesta di revisione dei provvedimenti stabiliti è necessario che vi siano “giustificati motivi”, come stabilito dall’art. 473-bis.29. Cosa si intende per “giustificati motivi”? La giurisprudenza si è allineata sulla interpretazione della dicitura “giustificati motivi” intendendo la sopravvenienza di nuove circostanze ( sul punto: Cass.12235/1992, Cass. 28/11/2017, n.28436).

Ricordiamo che il giudizio promosso ai sensi dell’art. 473 bis.29 è proponibile qualora le condizioni di separazione o di divorzio siano diventate definitive; sarà proprio dal quel momento che si potranno avanzare e valutare l’insorgenza di circostanze nuove, tali da giustificare la richiesta di modifica.

Cassazione: decade il mantenimento se l’ex moglie ha un nuovo partner – Torna all’indice ^

La sentenza rivoluzionaria 28778 del 16 ottobre 2020 della Corte di Cassazione ha stabilito che l’assegno di mantenimento debba essere rimodulato o perfino revocato se il coniuge beneficiario ha una relazione stabile con un nuovo partner, anche in assenza di convivenza.

La Cassazione ha così accolto il ricorso di un uomo di Reggio Calabria che chiedeva di non pagare più il mantenimento alla sua ex moglie. La donna sosteneva di non avere nessun reddito e che non era stata dimostrata la relazione col nuovo compagno.

Tuttavia aveva una relazione consolidata anche se non condivideva l’abitazione in modo stabile col nuovo partner. Entrambi non avevano cambiato il proprio domicilio ma l’ex marito sosteneva che, di fatto, vivessero insieme.

I giudici di Cassazione hanno dato ragione all’ex marito giustificando nella sentenza che il rapporto consolidato e pluriennale è “pure caratterizzato da ufficialità, fondato sulla quotidiana frequentazione con periodi di piena ed effettiva convivenza più o meno lunghi”.

Si tratta di una sentenza storica già rinominata ‘sentenza salva-mariti‘ che, di fatto, può far scattare l’annullamento (per sempre) dell’assegno di mantenimento o divorzile.

Ricordiamo che tale sentenza non può essere applicata in generale, bensì valutando il singolo caso una volta dimostrate in giudizio la stabilità e continuità del rapporto e tenendo conto della situazione finanziaria del nuovo partner.

Il mantenimento non decade se uno dei due partner è impossibilitato a lavorare, nonostante la nuova relazione dell’ex coniuge.

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Assegno di mantenimento e assegno divorzile: differenze – Torna all’indice ^

L’assegno di mantenimento e quello divorzile (o di divorzio) sono due emolumenti economici diversi che, spesso, vengono confusi tra loro. In realtà, si applicano in diverse circostanze legali.

L’assegno di mantenimento viene definito dopo la separazione per assicurare al coniuge col reddito minore lo stesso tenore di vita che aveva quando conviveva con l’ex partner. Il giudice definisce l’importo in base al singolo caso ed alle effettive possibilità del coniuge obbligato a passare l’assegno.

L’assegno divorzile, definito dopo il divorzio, ha la funzione di garantire autonomia e indipendenza economica del coniuge col reddito minore tra i due, ma non lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. Se è in grado di mantenersi da sé, l’assegno divorzile decade.

Questi due assegni vengono calcolati in base ad importi stabiliti dalla Corte di Cassazione (sentenza Grilli del 10 maggio 2017).

Accenniamo anche alla recente Ordinanza della Corte di Cassazione Sez. I Civile (Ordinanza n.1482 del 18/01/2023) con la quale viene stabilito che l’assegno di mantenimento dopo il divorzio può essere revocato a chi effettua «spese voluttuarie».

Oppure a chi, invece di lavorare, si dedica allo svago o ad acquisti non necessari. Lo scopo dell’assegno di divorzio, spiegano i Giudici, è avere una funzione «assistenziale e compensativa».

E quindi richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. L’importo si calcola proprio sulla base della «valutazione comparativa delle condizioni economiche delle parti».

Come viene calcolato l’assegno di mantenimento dopo il divorzio?

Per i giudici della Corte di Cassazione l’assegno di mantenimento dopo il divorzio viene calcolato tenendo in considerazione il contributo alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune di ciascuno degli ex coniugi.

Questo criterio ha l’obiettivo di consentire «il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare. In particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate», si legge ancora nella sentenza.

Non è dovuto l’assegno di mantenimento  se il coniuge si rifiuta di lavorare e se può disporre di redditi idonei per mantenersi e affrontare questa nuova fase della vita.

Cassazione: assegno di mantenimento modificabile anche in pendenza di divorzio – Torna all’indice ^

La Suprema Corte, con la sentenza n. 7547 del 27 marzo 2020, ha chiarito che l’importo dell’assegno di mantenimento fissato in sede di separazione si può modificare anche in pendenza della causa di divorzio però non deve interferire con i provvedimenti nel frattempo assunti dal giudice del divorzio.

In sostanza, l’assegno di mantenimento 2020 può essere modificato soltanto se non sono stati adottati provvedimenti urgenti e temporanei in fase istruttoria o presidenziale.

I provvedimenti economici adottati in precedenza nel giudizio di separazione restano validi fino all’introduzione di nuove disposizioni patrimoniali in sede divorzile (Cassazione n. 1779/2012).

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Sull’obbligo o meno di mantenimento dei figli maggiorenniTorna all’indice ^

L’obbligo da parte dei genitori è garantire il diritto al mantenimento anche nei confronti dei figli maggiorenni finché questi ultimi non riescano a raggiungere un’indipendenza economica.

Questo obbligo sussiste indipendentemente dal fatto che i genitori siano uniti, separati o divorziati.
Il figlio maggiorenne, dal canto suo, deve dimostrarsi attivo nello studio o nella ricerca di un lavoro altrimenti il mantenimento non è più dovuto se i genitori riescono a dimostrare l’inerzia del figlio (il rifiuto di lavorare o studiare).

A tal proposito, l’ordinanza della Cassazione 17183 – 14 agosto 2020 tira in ballo l’auto-responsabilità del figlio maggiorenne. L’ordinanza ha stabilito che il diritto al mantenimento deve trovare un limite in base ad un termine (durata degli studi e tempo necessario per trovare un impiego) a meno che il figlio non dimostri di non riuscire a trovarlo per causa a lui non imputabile.

In più, l’obbligo dei genitori non si può protrarre oltre limiti ragionevoli (età massima di 30/35 anni del ragazzo).
Il mantenimento erogato al figlio deve essere proporzionato alla situazione economica dei genitori.

Se il figlio ha ottenuto la sua indipendenza economica, decade definitivamente l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori e non viene ripristinato in caso di successivo bisogno del figlio (ad esempio, se viene licenziato).

Quando il figlio maggiorenne può definirsi indipendente? Quando il lavoro risulta stabile, che sia dipendente o autonomo, imprenditoriale o professionale.

Non può assicurare, certamente, l’indipendenza economica un lavoro precario, un apprendistato o un tirocinio formativo.

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Figlio con contratto a tempo determinato: che succede?Torna all’indice ^

Cosa succede quando il figlio svolge un lavoro con contratto a tempo determinato?
In questo caso, si può definire indipendente? Oppure ha diritto al mantenimento?

Ha risposto al quesito l’ordinanza n. 19077 – 14 settembre 2020 della Suprema Corte di Cassazione.

Con questa ordinanza la Cassazione stabilisce che il figlio maggiorenne con contratto di lavoro a tempo determinato ha diritto al mantenimento in quanto non basta ad assicurare il raggiungimento dell’indipendenza economica.

Ciò vale tanto per i figli maggiorenni quanto per quelli minorenni.
L’esigenza di tutela resta la stessa.

In linea generale vi sono diversi fattori da valutare per capire se il figlio con contratto a tempo determinato abbia diritto al mantenimento.

I giudici, inoltre, hanno specificato anche che “spetta al figlio, che abbia concluso il proprio percorso formativo, dimostrare – con onere probatorio a suo carico – di essersi adoperato per rendersi autonomo economicamente”. (tra le altre Cass. 17380/2020; Cass. 32529/2018 e Cass. ordinanza del 2021 n. 38366).

Occorre comunque valutare il caso concreto soffermandosi sia sull’adeguatezza della retribuzione (che deve essere indicata come quella misura del compenso tale da “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (Cass. sent. n.40282/2021) che sulla durata del contratto.

In quest’ultimo caso la giurisprudenza precisa che se il contratto ha un termine eccessivamente breve – ad esempio per i contratti stagionali o a “chiamata”- non può venir meno il diritto al mantenimento. In tale ipotesi la Cassazione evidenzia che “la durata del contratto non conduce affatto alla stabilità economica e non può quindi costituire in automatico una circostanza tale da determinare la revoca dell’obbligo di mantenimento”.

Assegno c.d. una tantum, differenza nella separazione e nel divorzio Torna all’indice ^

In caso di separazione tra coniugi è possibile giungere a un accordo di mantenimento in un’unica soluzione, noto come “una tantum”, a condizione che entrambi i coniugi siano d’accordo.

I coniugi possono concordare la risoluzione delle questioni patrimoniali mediante un unico pagamento o l’assegnazione di beni determinati. Si deve tuttavia sottolineare che questa disciplina differisce da quella prevista nella procedura di divorzio.

Qualora si voglia stipulare un patto di questo tipo sarebbe opportuno sottoporlo preventivamente al Giudice che omologa la separazione consensuale, il quale, qualora lo ritenga congruo, può validarlo.

È però necessario tenere presente che durante la fase di separazione l’accordo non ha carattere definitivo, a differenza di quanto accade nel procedimento divorziale.

Il coniuge beneficiario può avanzare la domanda di una modifica delle condizioni in caso di mutamento delle circostanze economiche di entrambi i coniugi; inoltre, all’atto della separazione, è possibile rivedere tutti gli accordi precedentemente presi.

E’ necessario sottolineare che durante una separazione giudiziale non c’è la possibilità di prevedere il pagamento dell’assegno di mantenimento in unica soluzione, poiché questa opzione è regolata dall’accordo tra le parti ed è quindi ammissibile solo nel caso di procedura consensuale.

Come si calcola l’assegno di mantenimentoTorna all’indice ^

Non esiste un metodo matematico per calcolare l’assegno di mantenimento, per legge soltanto il Giudice ha l’autorità di stabilirne l’entità.

E’ giusto precisare che esistono modelli di calcolo e interpretazioni giurisprudenziali che forniscono delle linee guida, ma il Giudice non è obbligato ad aderirvi.

Per questo motivo, durante la fase istruttoria, è importante valutare il quadro economico complessivo di entrambi i coniugi, il quale può variare da caso a caso, al fine di comprendere se esiste uno squilibrio tra le loro capacità.

La rappresentazione accurata delle situazioni patrimoniali e di tutte le attività economicamente rilevanti della coppia consentirà al Tribunale di determinare in modo oggettivo l’ammontare dell’assegno che spetta al coniuge più debole.

Nel calcolo dell’importo dovrà essere valutato anche l’apporto fornito da entrambi i coniugi alla vita familiare.


Per questi motivi è consigliabile cercare assistenza legale da uno studio legale esperto nell’ambito del Diritto di Famiglia, che possa non soltanto consigliare il cliente dal punto di vista giuridico, ma, grazie alla presenta di un team di professionisti multidisciplinari in grado di operare a diversi livelli, avviare indagini approfondite per chiarire le condizioni economiche di entrambi i coniugi.

L’assegno di mantenimento cresce con l’età del figlioTorna all’indice ^

La recente pronuncia della Cassazione (ordinanza n. 11724/2023) offre chiarimenti sul tema dell’assegno di mantenimento per i figli.

Di norma, il giudice si basa sui bisogni del figlio al momento della sentenza, ma è possibile che con la crescita aumentino le sue esigenze.

Un genitore aveva contestato l’importo dell’assegno stabilito dal tribunale di primo grado per la figlia minore, ma la Cassazione ha confermato la decisione.

La Corte d’appello si è attenuta ai principi di proporzionalità tra i redditi dei genitori e ha considerato le esigenze attuali del figlio e il suo tenore di vita (Cass. n. 4811/2018).

In una precedente pronuncia,  la Cassazione (Cass. n. 13664/2022) aveva ribadito un fondamentale principio nel Diritto di Famiglia: le necessità economiche dei figli aumentano con la loro crescita, senza bisogno di dimostrazione specifica.


L’assegno di mantenimento, pertanto, deve adeguarsi proporzionalmente all’età e alle esigenze del figlio, non essendo coperto dalle “spese straordinarie“.

Questo chiarisce che l’importo dell’assegno dovrebbe crescere parallelamente alle necessità del figlio.

In caso di inadempimento di entrambi i genitori spetta ai nonni il mantenimento del minoreTorna all’indice ^

Sono i nonni a dover pagare il mantenimento al minore se il padre è inadempiente rispetto al contributo fissato in sede di separazione consensuale.

È quanto stabilito dalla sentenza 8980/23, pubblicata il 30 marzo dalla prima sezione civile della Cassazione. Se entrambi i genitori non hanno i mezzi, sono i nonni a dover intervenire.

Ricordiamo che la loro obbligazione è subordinata rispetto a quella dei genitori del figlio minore; se uno dei due genitori può mantenere il figlio non è possibile richiedere un’obbligazione per i nonni; è possibile invece coinvolgerli quando nessuno dei genitori è in grado di mantenere i figli minori; in questo caso sono i nonni a dover adempiere all’obbligazione.

La rinuncia al mantenimento non fa venire meno il diritto all’assegno socialeTorna all’indice ^

Il coniuge che rinuncia all’assegno di mantenimento durante una separazione o un divorzio, mantiene comunque il diritto a richiedere l’assegno sociale all’INPS. Questo principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22755 del 13 agosto 2024.

Il caso in esame

La vicenda nasce dal ricorso di una donna contro una sentenza della Corte di Appello che aveva confermato la decisione del Tribunale di negarle l’assegno sociale. I giudici avevano respinto la sua richiesta poiché, durante la separazione consensuale, la ricorrente aveva rinunciato all’assegno di mantenimento.

Inoltre, aveva presentato la domanda all’INPS solo un mese dopo la separazione. A ciò si aggiungeva il fatto che l’ex marito percepiva diverse pensioni e che i due continuavano a vivere insieme nella casa coniugale, migliorando così la loro situazione economica.

Nonostante l’esito sfavorevole sia in primo che in secondo grado, la signora ha portato la questione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che il diritto all’assegno sociale non dipende dalla richiesta di sostegno economico al coniuge, ma solo dalla condizione di bisogno.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ribadendo che il diritto all’assegno sociale è legato esclusivamente alla mancanza o insufficienza di redditi. Non è rilevante se il richiedente abbia omesso di chiedere il mantenimento all’ex coniuge, né la convivenza con l’ex marito rappresenta un fattore decisivo per negare l’assegno.

La legge n. 335 del 1995 stabilisce che l’unico requisito per ottenere l’assegno sociale è la condizione di bisogno economico. Altri fattori, come il potenziale diritto al mantenimento dal coniuge separato, non influenzano la valutazione dello stato di necessità.

L’eventuale comportamento fraudolento del richiedente, come l’intenzionale omissione di altre fonti di reddito, deve essere accertato in sede giudiziaria.
Diagramma comparativo dei requisiti per ottenere l'assegno di mantenimento e l'assegno sociale

Nuovi criteri per l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenniTorna all’indice ^

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 24391/2024, ha riscritto le regole del mantenimento dei figli maggiorenni. Un’interpretazione nuova dell’autosufficienza economica emerge, mettendo in discussione alcuni criteri finora ritenuti standard. Gli effetti non tarderanno a farsi sentire nelle cause di diritto familiare.
Immagine della Corte di Cassazione che rappresenta l'ordinanza sulle nuove regole di mantenimento dei figli maggiorenni

Autosufficienza economica: una nuova prospettiva

Non basta essere semplicemente “occupabili”. La Cassazione chiarisce che l’autosufficienza economica non può dipendere solo dalla possibilità di ottenere un lavoro. È necessario valutare due elementi chiave:

  1. Condizioni del mercato del lavoro: anche se il figlio ha tutte le competenze, la mancanza di opportunità concrete gioca un ruolo determinante. In assenza di sbocchi lavorativi reali, l’obbligo di mantenimento potrebbe continuare. Non è sufficiente avere competenze, devono esserci occasioni.
  2. Stabilità del reddito: non tutti i lavori sono sufficienti. Se il figlio trova un’occupazione precaria o con un reddito basso, i genitori potrebbero dover proseguire con il mantenimento. L’indipendenza economica, per essere tale, deve garantire stabilità e un tenore di vita dignitoso.

Cambiamenti nella giurisprudenza

Il concetto di autosufficienza economica evolve, ma non è un capovolgimento. La Cass. Civ. 17183/2020 aveva già introdotto il principio della valutazione caso per caso, abbandonando l’approccio rigido. Allo stesso modo, la sentenza 12952/2016 aveva fissato la necessità di una indipendenza economica stabile per considerare terminato l’obbligo di mantenimento. Questa nuova ordinanza amplia il quadro, senza rompere con il passato.

Timeline che mostra le sentenze dal 2016 al 2024 sull'autosufficienza economica nel diritto di famiglia

Effetti pratici e implicazioni

La discrezionalità del giudice diventerà ancora più cruciale. Le cause potrebbero allungarsi, poiché la valutazione delle condizioni economiche e lavorative del figlio sarà sempre più dettagliata e complessa. La difficoltà per i genitori di dimostrare la cessazione dell’obbligo di mantenimento aumenta, poiché sarà necessario dimostrare anche la stabilità del lavoro del figlio e la sua adeguatezza economica.

Le controversie si moltiplicheranno. Analisi tecniche, consulenze approfondite, prove documentali più complesse: il panorama dei contenziosi familiari si prepara a diventare più articolato e meno prevedibile.

Conclusione

L’ordinanza 24391/2024 porta un cambiamento importante nella gestione del mantenimento dei figli maggiorenni. Introduce criteri più raffinati e meno definitivi, influenzando il modo in cui i giudici affronteranno le future controversie. Un nuovo equilibrio tra le esigenze dei figli e quelle dei genitori è in gioco, e ogni caso dovrà essere analizzato in profondità per garantire decisioni giuste e ponderate.

Mantenimento dei figli maggiorenni: stabilità della dimora presso la casa maternaTorna all’indice ^

Quando si tratta di richiedere un assegno di mantenimento per un figlio maggiorenne che non ha ancora raggiunto l’indipendenza economica, è fondamentale sapere che il genitore ha diritto a questo supporto anche se il figlio si allontana temporaneamente per motivi di studio.

In tal caso, la casa dei genitori deve rimanere un punto di riferimento sicuro al quale il figlio potrà sempre fare ritorno.

Giovane adulto con valigia che rientra a casa, simbolo della stabilità della dimora materna

Un recente caso giudiziario ha coinvolto il Tribunale di Napoli, il quale ha respinto la richiesta di un padre di esentarsi dal pagamento dell’assegno di 5.000 euro che doveva versare all’ex moglie per il mantenimento delle loro figlie. Il genitore sosteneva che, essendo le ragazze diventate maggiorenni e non vivendo più con la madre, quest’ultima avesse perso il diritto a ricevere l’assegno.

Il Tribunale ha stabilito che, nonostante le giovani frequentassero l’università lontano da casa, questo non modificava la loro condizione di stabilità temporanea.

A seguito di un ricorso presentato dal padre, la Corte d’Appello di Napoli ha osservato che la mancata convivenza tra le figlie e la madre aveva, in effetti, ridotto il diritto della genitrice a ricevere il contributo. Tuttavia, si è anche tenuto conto che l’età delle ragazze e le loro esperienze lavorative suggerivano che avrebbero potuto intraprendere percorsi occupazionali in grado di garantir loro un futuro.

Per questo motivo, la loro residenza a Milano non poteva più essere considerata temporanea.

Sentenza sul mantenimento dei figli maggiorenni – Tribunale di Napoli

L’ex moglie, insoddisfatta della decisione della Corte d’Appello, ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che l’esclusione della sua legittimazione a ricevere il contributo di mantenimento fosse un errore.

Ha evidenziato che la coabitazione rappresenta una manifestazione di un legame familiare e che continuava a essere una figura fondamentale per le esigenze quotidiane delle figlie.

La Cassazione ha accolto le ragioni dell’ex moglie, stabilendo che:

  1. a) Il genitore ha il diritto di richiedere l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne non ancora autonomo, anche se si allontana per motivi di studio, a condizione che la casa paterna o materna rimanga il suo punto di riferimento stabile. Inoltre, il genitore è considerato legittimato a richiedere il contributo anche se le figlie non vivono con lui, purché continui a farsi carico delle spese necessarie per il loro sostentamento durante il periodo di studio.

Questa sentenza chiarisce quindi che l’essenza del mantenimento dei figli maggiorenni è legata non solo alla loro residenza fisica, ma anche al supporto sostanziale che il genitore fornisce e alla stabilità che la casa genitoriale rappresenta nella vita del giovane.

Mantenimento dopo le unioni civili: la Cassazione chiarisceTorna all’indice ^

Effetti pratici e implicazioni

La discrezionalità del giudice diventerà ancora più cruciale. Le cause potrebbero allungarsi, poiché la valutazione delle condizioni economiche e lavorative del figlio sarà sempre più dettagliata e complessa. La difficoltà per i genitori di dimostrare la cessazione dell’obbligo di mantenimento aumenta, poiché sarà necessario dimostrare anche la stabilità del lavoro del figlio e la sua adeguatezza economica.

Le controversie si moltiplicheranno. Analisi tecniche, consulenze approfondite, prove documentali più complesse: il panorama dei contenziosi familiari si prepara a diventare più articolato e meno prevedibile.

Conclusione

L’ordinanza 24391/2024 porta un cambiamento importante nella gestione del mantenimento dei figli maggiorenni. Introduce criteri più raffinati e meno definitivi, influenzando il modo in cui i giudici affronteranno le future controversie. Un nuovo equilibrio tra le esigenze dei figli e quelle dei genitori è in gioco, e ogni caso dovrà essere analizzato in profondità per garantire decisioni giuste e ponderate.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24930 del 2024, ha fornito un chiarimento importante in materia di mantenimento dopo la fine di un’unione civile. Sebbene la Legge Cirinnà equipari l’assegno di mantenimento nelle unioni civili a quello previsto per i divorzi, la Corte ha sottolineato che l’obbligo di mantenimento non è automatico, ma deve essere determinato in base alla situazione economica delle parti

Questo significa che, per stabilire il mantenimento, è necessaria una valutazione approfondita delle condizioni economiche degli ex partner.

Uno dei punti chiave è che il mantenimento non viene concesso in maniera automatica: deve esserci uno squilibrio economico significativo tra gli ex partner affinché sia giustificato. La Corte ha inoltre precisato che, se entrambi si trovano in difficoltà economica, l’obbligo di mantenimento può essere escluso. L’assegno, dunque, non è uno strumento di compensazione per la fine della relazione, ma piuttosto un mezzo per rispondere a reali necessità economiche.

Grafico a barre che mostra un confronto tra i redditi o il patrimonio di due ex partner, evidenziando quando lo squilibrio giustifica la concessione del mantenimento

Questo orientamento si inserisce in una linea giurisprudenziale che da tempo invita a valutare le richieste di mantenimento caso per caso, evitando automatismi che non tengano conto delle circostanze concrete.

La Corte ha anche ribadito che, nella determinazione dell’assegno, bisogna considerare non solo il tenore di vita passato durante la convivenza, ma anche le nuove possibilità economiche emerse successivamente alla fine della relazione.

Questa decisione ha implicazioni rilevanti sia sul piano giuridico, poiché offre ai giudici criteri più flessibili e aderenti alla realtà economica delle parti, sia sul piano sociale, fornendo maggiore chiarezza e tutela ai cittadini che affrontano la fine di un’unione civile.

L’ordinanza consolida un approccio che pone l’accento su solidarietà economica e autosufficienza, garantendo che il mantenimento venga concesso solo dove effettivamente necessario, evitando soluzioni inique o automatiche.

Domande frequentiTorna al menù ^

Che cosa si intende per mantenimento?
Il mantenimento è una forma di sostegno finanziario che un coniuge paga all’altro in seguito ad un divorzio, separazione consensuale o sentenza del tribunale. Si tratta di un pagamento periodico, generalmente mensile, che l’obbligato al mantenimento versa all’altro coniuge per contribuire alle spese relative alla vita del beneficiario e dei figli.

Questo pagamento può essere effettuato sotto forma di assegno, bonifico bancario o trasferimento diretto dal conto corrente dell’obbligato al conto corrente dell’altro coniuge.

Chi decide l'assegno di mantenimento?
Normalmente, è il giudice ad assegnare l’ammontare dell’assegno di mantenimento in base alle esigenze economiche del coniuge che lo richiede.

Il giudice considera diversi fattori, come i redditi individuali, le spese mediche e le necessità dei figli minori. Inoltre, il giudice può decidere se aumentare o ridurre l’importo dell’assegno di mantenimento per tenere conto delle modifiche delle condizioni economiche nel corso del tempo.

Chi percepisce l'assegno di mantenimento deve dichiararlo?
Chi è titolare di un assegno di mantenimento deve obbligatoriamente dichiararlo nel modello 730 o nella dichiarazione dei redditi Unico, anche se non è tenuto al pagamento delle imposte.

La dichiarazione deve essere fatta in modo da indicare l’importo percepito, le generalità del soggetto erogatore e la causale del versamento.

Inoltre, il soggetto che percepisce l’assegno di mantenimento deve conservare tutta la documentazione relativa all’erogazione, in modo da dimostrare l’effettiva corrispondenza alla situazione di famiglia.

Chi deve dare il mantenimento ai figli?
Dipende dalle circostanze individuali. In generale, entrambi i genitori hanno l’obbligo di sostenere economicamente il proprio figlio. Se genitori e figli vivono insieme, generalmente è uno dei genitori a fornire l’assistenza finanziaria.

Nel caso in cui i genitori non abbiano una relazione e vivano separatamente, è previsto che entrambi versino un contributo economico a sostegno del figlio.

I tribunali possono anche decidere di assegnare il mantenimento a un genitore che non ha la custodia del figlio. In questo caso, il genitore con la custodia riceve i fondi da quello senza custodia.

Che differenza c'è tra assegno di mantenimento e alimenti?
L’assegno di mantenimento è una somma di denaro che un coniuge (generalmente quello con un reddito più alto) versa all’altro per contribuire alle spese domestiche.

Di solito, l’importo viene determinato in base ai redditi dei coniugi, alla durata del matrimonio e al tenore di vita stabilito durante la relazione. Gli alimenti, invece, sono un contributo economico che un genitore versa all’altro per garantire la cura dei figli.

L’importo degli alimenti varia in base a fattori come l’età del figlio, le sue esigenze e il reddito del genitore obbligato a versare gli alimenti.

A differenza dell’assegno di mantenimento, gli alimenti non possono essere utilizzati dal genitore beneficiario per soddisfare le proprie necessità personali o finanziarie; devono essere utilizzati esclusivamente per le spese relative a cibo, abbigliamento ed educazione della prole.

Che diritti ha una moglie separata?
Una moglie separata ha diversi diritti in relazione al mantenimento economico da parte del coniuge. Il marito è obbligato a fornire un assegno mensile per far fronte ai bisogni della moglie e dei figli, se ci sono. Questo assegno può essere accordato dal tribunale o concordato tra le parti. Inoltre, la moglie ha diritto al mantenimento della casa, alle spese mediche e legali necessarie.

Se una donna decide di separarsi dal marito, ha anche il diritto di rivendicare la sua quota di proprietà accumulata durante il matrimonio. La divisione dei beni avviene in base alla legge, in base alle regole di equità e in base all’accordo tra le parti.

La moglie separata può anche rivendicare i diritti sul patrimonio accumulato prima del matrimonio e le proprietà acquisite dopo la separazione. Inoltre, c’è sempre l’opzione di impugnare la decisione del tribunale se una delle parti si sente trattata ingiustamente.

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