– Previsto e disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile, può essere qualificato come un contratto a titolo oneroso a prestazioni corrispettive.

Patto di non concorrenza dipendente

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Il patto di non concorrenza è previsto e disciplinato dall’articolo 2125 del codice civile e può essere qualificato come un contratto a titolo oneroso a prestazioni corrispettive, con il quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere al lavoratore un corrispettivo a fronte del vincolo di quest’ultimo di non porre in essere attività in concorrenza con il datore una volta cessato il rapporto di lavoro, per un certo periodo di tempo.

La ratio è da rinvenirsi nella necessità, per i datori di lavoro, di tutelarsi da possibili attività concorrenziali poste in essere da persone che precedentemente hanno intrattenuto rapporti di lavoro dipendente con lui, e che quindi potrebbero verosimilmente essere a conoscenza di informazioni riservate o strategiche da riutilizzare presso altri datori.

L’art. 2125 enuncia una serie di requisiti che necessariamente deve possedere un patto di non concorrenza perché possa dirsi valido.

Questi requisiti sono:

requisito di forma: il patto deve necessariamente essere in forma scritta, e questa previsione non è derogabile dalle parti;
requisito di durata: il patto non può avere una durata superiore a 5 anni se previsto per i dirigenti e 3 anni per le altre categorie di lavoratori. Se pattuita una durata maggiore, essa viene automaticamente ridotta in questi termini;
requisito di luogo: deve essere predeterminato un limite spaziale del patto, poiché non si vanifichi completamente qualsiasi tentativo di reimpiego del lavoratore;
requisito oggettivo: il patto deve avere un oggetto specifico, nel senso che deve essere chiaro al lavoratore di quali tipi di mansioni e professionalità si stia parlando, e con riguardo a quali settori;
requisito del corrispettivo: esso deve essere determinato o quantomeno determinabile.

patto di non concorrenza dipendente

Domande frequenti

Quando è nullo un patto di non concorrenza?
Un patto di non concorrenza è considerato nullo se non rispetta alcuni fondamentali requisiti previsti dalla legge.

Questi sono: la limitazione geografica, temporale ed oggettiva del patto, la proporzionalità della contraprestazione economica offerta in cambio e l’assenza di abuso di posizione dominante da parte del datore di lavoro.

Se uno di questi elementi manca, il patto non ha validità legale e non può essere imposto al dipendente.

Inoltre, un patto di non concorrenza può essere considerato nullo anche se è contrario all’ordine pubblico o a buoni costumi, oppure se il lavoratore non è stato adeguatamente informato sul suo contenuto prima della sottoscrizione.

Cosa succede se non viene rispettato il patto di non concorrenza?
In caso di violazione le conseguenze previste dalla legge possono essere molteplici. Il rischio più comune è la denuncia da parte della controparte, che può avere come conseguenza il risarcimento dei danni subiti o una penale da pagare.

Inoltre, esiste un’altra possibilità: la dichiarazione di inefficacia del patto stesso. In questo caso, l’accordo stipulato viene considerato nullo, con l’obbligo di restituire tutti i vantaggi economici eventualmente ricevuti in precedenza.

La violazione può anche comportare l’inibizione temporanea all’esercizio dell’attività professionale in questione e/o alla conclusione di altri contratti simili.

Come liberarsi del patto di non concorrenza?
Esistono diversi modi per liberarsi di un patto di non concorrenza.

Uno dei modi più efficaci è quello di discutere con il datore di lavoro la possibilità di rivedere o annullare le condizioni stabilite nel contratto. Sebbene questa strategia possa risultare difficile da mettere in pratica, è importante ricordare che un datore di lavoro non può imporre condizioni vessatorie.

Un altro modo è quello di fare ricorso alle autorità competente in materia, come ad esempio il Tribunale del lavoro.

Infine, è possibile chiedere a un avvocato esperto in diritto del lavoro di fornire assistenza ed eventualmente farsi rappresentare in giudizio per contestare la validità del patto.

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