– I licenziamenti per giusta causa e quelli per giustificato motivo soggettivo rientrano nella categoria dei “licenziamenti disciplinari”

Licenziamento giusta causa e per giustificato motivo soggettivo

Analizziamo le dinamiche del licenziamento per giusta causa: basi legali,  conseguenze per lavoratori e datori di lavoro e come navigare al meglio queste situazioni complesse.

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I licenziamenti per giusta causa e quelli per giustificato motivo soggettivo rientrano nella categoria dei “licenziamenti disciplinari” dal momento che vengono intimati per ragioni connesse alla condotta del lavoratore, tali da ledere il vincolo fiduciario che lega azienda e dipendente.

Trattandosi di un recesso unilaterale da parte del datore di lavoro, a tutela del lavoratore, il licenziamento deve trovare fondamento in un determinato evento, riguardante:

– la condotta del dipendente
– l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro

Quando invece il licenziamento è legato a eventi riguardanti l’attività produttiva o l’organizzazione del lavoro si rientra nella categoria dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che può essere anche plurimo, ma non va confuso con il licenziamento collettivo, il quale prevede una procedura molto diversa.

Ciò che distingue il licenziamento per giusta causa da quello per giustificato motivo risiede nella gravità del fatto che lo giustifica.

– Nei licenziamenti per giusta causa la condotta del dipendente è talmente grave da non consentire la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto durante il periodo di preavviso. Il contratto si risolve immediatamente.

– Nei licenziamenti per giustificato motivo, al contrario, tra la data di comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro deve trascorrere un periodo di tempo definito dal contratto collettivo o dalla legge, cosiddetto “periodo di preavviso”, tale da consentire al dipendente di percepire comunque la retribuzione e nel frattempo cercarsi un’altra occupazione.

licenziamento per giusta causa

Definizione di licenziamento per giusta causa – Torna all’indice ^

Il licenziamento per giusta causa rappresenta la forma più grave di risoluzione del rapporto di lavoro ed è giustificato da un grave comportamento scorretto del lavoratore o da un grave inadempimento che compromette la fiducia del datore di lavoro nei suoi confronti.

Ai sensi del codice civile (art.2119), costituisce giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, senza preavviso in caso di contratto a tempo indeterminato, o prima della scadenza del termine in caso di contratto a tempo determinato, “una causa che rende impossibile anche una continuazione temporanea del rapporto di lavoro”.

Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto.

Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente.

Non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto il fallimento dell’imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell’azienda.”

giusta causa e giustificato motivo

Le cause del licenziamento per giusta causa – Torna all’indice ^

Un datore di lavoro ha facoltà di licenziare un dipendente per giusta causa o giustificato motivo, senza dover rispettare il preavviso, nel caso in cui si verifichi una situazione particolarmente grave che mina la fiducia reciproca tra le parti.

In questo caso il comportamento del lavoratore è così grave da determinare il recesso immediato dal rapporto di lavoro senza la corresponsione dell’indennità di preavviso.

Spetterà, poi, al giudice valutare sia la gravità dei fatti addebitati al lavoratore che la proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione per accertare è davvero venuto meno l’aspetto fiduciario in maniera tale da giustificare l’applicazione del licenziamento per giusta causa.

Tuttavia, il licenziamento di un dipendente richiede la verifica di specifiche circostanze che possono riguardare la condotta del lavoratore o le condizioni dell’azienda stessa.

Di seguito sono elencati alcuni dei motivi che possono dar luogo al licenziamento per giusta causa del dipendente:

  • Assenteismo ingiustificato: Il dipendente non si presenta al lavoro senza una giustificazione valida.
  • Falsa malattia e infortunio inventato: La malattia o l’infortunio non esiste come causa legittima di incapacità lavorativa.
  • Abuso di permessi legge 104: Il dipendente sta sfruttando i permessi retribuiti previsti dalla legge 104 in modo improprio, il che può giustificare un licenziamento per giusta causa.
  • Comportamento incompatibile con la pronta guarigione in base alla natura della malattia o dell’infortunio e alle mansioni lavorative, al fine di non compromettere o ritardare il recupero.
  • Rifiuto ingiustificato e ripetuto di eseguire la prestazione lavorativa richiesta.
  • Rifiuto del dipendente di trasferirsi in un’altra sede o filiale dell’
  • Lavorare per terzi durante la malattia, se questa attività impedisce una pronta guarigione e il ritorno al lavoro.
  • Comportamento extralavorativo che costituisce un illecito penale e compromette il rapporto di fiducia tra il dipendente e l’
  • Perdita dei requisiti per la Cassa Integrazione Guadagni (CIG).
  • Accertamento di illeciti che danneggiano il patrimonio aziendale.
  • Violazione del patto di non concorrenza.
  • Timbratura falsa.
  • Violazione dell’obbligo di fedeltà: comportamento sleale del dipendente che compromette la fiducia dell’
  • Furto o sabotaggio di attrezzature, macchinari o altri beni dell’azienda, che giustifica un licenziamento per furto in azienda.

In caso di un singolo comportamento grave posto in essere dal lavorare a fronte di una condotta eccepibile tenuta in modo costante, la Cassazione si è espressa a favore del licenziamento.

Sul punto i Giudici hanno stabilito che, pur in assenza di precedenti disciplinari e di persistente pregiudizio economico, se il comportamento del dipendente ha pregiudicato il rapporto di fiducia intercorrente con il datore di lavoro il licenziamento è legittimo.

Non rileva che il lavoratore abbia sempre avuto una condotta impeccabile nei lunghi anni di servizio prestato e che abbia provveduto a risarcire il danno (Cassazione n. 12641/2021).

Inoltre, sempre la Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore a fronte di comunicazioni con contenuti gravemente offensivi nei confronti dei superiori gerarchici e dei vertici aziendali contenute in e-mail e messaggi pubblicati su un profilo social del dipendente senza limitazioni di accesso (Cassazione n. 27939/2021).

Non rileva che il lavoratore abbia sempre avuto una condotta impeccabile nei lunghi anni di servizio prestato e che abbia provveduto a risarcire il danno (Cassazione n. 12641/2021).

Inoltre, sempre la Corte di Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore a fronte di comunicazioni con contenuti gravemente offensivi nei confronti dei superiori gerarchici e dei vertici aziendali contenute in e-mail e messaggi pubblicati su un profilo social del dipendente senza limitazioni di accesso (Cassazione n. 27939/2021).

Se in sede impugnativa il datore non riesce a provare i fatti addebitati al dipendente, il licenziamento per giusta causa è illegittimo: questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 35233/2022

Il caso di specie portato all’attenzione dei Giudici si riferiva ad un licenziamento nei confronti di una segretaria di uno studio legale, alla quale era stato contestato di non aver avvisato l’avvocato del pagamento ricevuto da un cliente, lasciando così incustodita la somma.

La effettiva consegna del denaro, però, non era stata dimostrata e per la Corte l’impugnazione mossa dal datore di lavoro necessitava di una rilettura dei fatti del processo che non poteva essere affrontata in sede legittimità.

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Giusta causa e giustificato motivo soggettivo: differenze – Torna all’indice ^

Fattispecie diversa dal licenziamento per giusta causa è il licenziamento per giustificato motivo che può essere oggettivo o soggettivo. È configurabile un licenziamento per giustificato motivo soggettivo quando si fa riferimento a “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro“.

Quindi, alla luce della definizione giuridica, l’ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo si può verificare quando il lavoratore tenga una condotta disciplinarmente rilevante.

Qualche esempio? Rientrano in questa casistica:

  • comportamenti negligenti messi in atto dal lavoratore
  • lo scarso rendimento sul luogo di lavoro
  • la violazione degli obblighi contrattuali
  • la lesione di un interesse rilevante per il datore di lavoro.

Come il licenziamento per giusta causa, anche quello per giustificato motivo soggettivo rientra tra le casistiche dei licenziamenti disciplinari ai quali si applicherà la procedura ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori.

Il datore di lavoro dovrà, quindi, contestare in modo preciso e puntale l’addebito al lavoratore.

Inoltre, come per il licenziamento per giusta causa, anche nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo viene meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore stesso.

Ciò che differenzia le due fattispecie di licenziamento consiste nella minore o maggiore gravità del comportamento tenuto dal lavoratore.

Nel caso di licenziamento per giusta causa è talmente grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno in modalità provvisoria del rapporto lavorativo; mentre nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la condotta è grave ma non così tanto da interrompere immediatamente il rapporto di lavoro.

In questa ipotesi, il lavoratore avrà diritto al periodo di preavviso, ovvero un periodo di tempo tra il giorno della comunicazione del licenziamento e l’ultimo giorno di lavoro.

Infine, in caso di licenziamento di giusta causa, il rapporto di lavoro viene interrotto immediatamente e non è prevista alcuna indennità, mentre nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, è prevista l’indennità di preavviso.

Oltre alla fattispecie soggettiva, può essere configurabile anche il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Quest’ultimo si configura quando la causa è da ricercarsi in ragioni legate all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo normale funzionamento ed è possibile solo in presenza di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere effettuato dall’azienda per motivi diversi quali: riduzione dei costi, crisi economica, ristrutturazione aziendale, mancanza di lavoro, inadeguatezza del lavoratore rispetto alle esigenze aziendali.

Il lavoratore licenziato per per giustificato motivo oggettivo ha diritto a ricevere un preavviso e un’indennità di licenziamento e può fare opposizione al licenziamento presso il giudice del lavoro.

La procedura di licenziamento per giusta causa – Torna all’indice ^

 
Per effettuare un licenziamento per giusta causa, è fondamentale rispettare scrupolosamente una procedura obbligatoria che non ammette deroghe, pena la nullità dell’intero procedimento.

La procedura che dovrà seguire il datore di lavoro prevede i seguenti passaggi:

  • Il datore di lavoro deve inviare una comunicazione scritta al dipendente in cui venga esplicitato il comportamento illegale che quest’ultimo ha tenuto. La lettera deve essere consegnata a mano o inviata tramite raccomandata con avviso di ricevimento.
  • A partire da questo momento, il dipendente ha 5 giorni di tempo per presentare una propria difesa. In questo periodo, il lavoratore può fornire una documentazione scritta di difesa e/o richiedere di essere ascoltato personalmente, eventualmente accompagnato da un rappresentante sindacale. L’assistenza di un avvocato non è ammessa.
  • Una volta espletata la difesa, il datore di lavoro deve comunicare al dipendente la propria decisione finale, che può essere anche quella di procedere al licenziamento. Anche in questo caso, la comunicazione deve essere effettuata per iscritto.

Sia la contestazione che la comunicazione finale di licenziamento devono essere effettuate con celerità.

La normativa vigente in materia non stabilisce il tempo limite che deve intercorrere tra la conoscenza dell’infrazione dal parte del datore di lavoro e l’avvio del procedimento disciplinare, per cui andrà adeguato alle circostanze del caso in essere.

Il carattere dell’immediatezza della contestazione disciplinare fa riferimento al principio secondo cui la contestazione del comportamento illecito deve avvenire a distanza di un breve lasso di tempo dalla conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro. 

È quindi fondamentale identificare il momento in cui il datore è venuto a conoscenza dell’infrazione del lavoratore perché è da quel momento che il datore può valutare lapertura di un procedimento disciplinare. 

La giurisprudenza sul punto si è espressa ritenendo che il requisito della immediatezza della contestazione debba essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare l’iniziativa datoriale (Cass. n. 12824/2016).

In conclusione, anche in assenza di una scadenza esplicita, il datore di lavoro non può procrastinare tale comunicazione al punto da pregiudicare la possibilità del dipendente di dimostrare la propria innocenza o da farlo ritenere implicitamente assolto.

Tuttavia, la tempestività di tali comunicazioni dipende da una serie di fattori, quali le dimensioni dell’azienda, la complessità dell’accertamento delle violazioni e la raccolta delle prove.

Ricordiamo che sotto il profilo procedurale, il legislatore, per invitare le parti a trovare soluzioni consensuali alla controversia, ha introdotto una procedura preventiva in sede amministrativa che il datore di lavoro deve promuovere se vuole intimare un licenziamento per motivi economici.

Il licenziamento, quindi, deve essere preceduto da una comunicazione preventiva allIspettorato territoriale del lavoro, ove ha sede l’unità produttiva nella quale è impiegato il lavoratore. Il datore di lavoro deve indicare la propria intenzione di procedere al licenziamento e i relativi motivi, oltre alle eventuali misure per la ricollocazione.

Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta, l’Ispettorato territoriale del lavoro trasmette alle parti la convocazione per un incontro (che si deve svolgere secondo le disposizioni contenute nell’art. 410 cod. proc. civ.) per esaminare eventuali soluzione alternative al recesso.

La procedura deve comunque concludersi entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione, salvo che le parti non chiedano una proroga per arrivare a un accordo o che la procedura non debba essere sospesa per legittimo impedimento del lavoratore (la sospensione non può comunque essere superiore a 15 giorni).

La procedura, in generale, potrà concludersi con una mancata comparizione, un mancato accordo ovvero con un accordo conciliativo che, qualora preveda il recesso del lavoratore, questo potrà qualificarsi come risoluzione consensuale, con la quale il lavoratore potrà richiedere l’indennità di disoccupazione (NASpI).

Ricordiamo che in caso di procedura per licenziamento per giustificato motivo oggettivo è obbligatorio effettuare il tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro e costituisce condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento.

Categorie protette e licenziamento – Torna all’indice ^

 

Un datore di lavoro che occupi un minimo di 15 dipendenti dovrà per legge assumere un numero di soggetti disabili proporzionale rispetto agli altri lavoratori all’interno dell’azienda. In generale, per un numero di lavoratori non disabili compreso fra 15 e 35, sarà obbligatorio assumerne uno che lo sia (per un’azienda da 36 fino a 50, almeno 2; per un’azienda con più di 50 dipendenti, almeno il 7% dei dipendenti con contratto a tempo indeterminato deve appartenere a una categoria protetta).

Le categorie protette vengono tutelate grazie una legge che promuove l’integrazione professionale, ovvero la n. 68 del 12 marzo 1999.

Fanno parte delle categorie protette i seguenti soggetti:

  • gli invalidi del lavoro che abbiano una percentuale di invalidità superiore al 33%
  • gli invalidi civili che abbiano una percentuale di invalidità compresa tra il 46 e il 100%
  • gli invalidi per servizio
  • gli invalidi di guerra e gli invalidi civili di guerra che abbiano minorazioni comprese tra la prima e l’ottava categoria
  • i profughi italiani
  • i non vedenti e i sordomuti
  • le vittime del dovere, del terrorismo e della criminalità organizzata
  • gli orfani e le vedove di persone decedute per motivi di lavoro, di guerra o di servizio

È possibile licenziare un lavoratore appartenente alle categorie protette? – Torna all’indice ^

La risposta è affermative ed è possibile sulla base di quanto previsto dalla legge 604/1996, ovvero:

  • per licenziamento è per giusta causa (art. 2119 c.c.)
  • per giustificato motivo, che potrà essere oggettivo o soggettivo

Nel secondo caso, potrebbe anche capitare che il giustificato motivo sia correlato all’aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore, che gli impedisce di continuare a svolgere le proprie mansioni. In questo caso Il lavoratore può essere collocato a svolgere altre mansioni, adatte alle sue condizioni.

In caso di rifiuto da parte di quest’ultimo, il datore può procedere con il licenziamento del lavoratore di una categoria protetta.

Se si intende procedere con il licenziamento, il datore è tenuto a darne comunicazione, entro 10 giorni dalla decisione agli uffici competenti così da sostituire il dipendente con un altro che abbia gli stessi diritti, in forza della propria condizione, all’avviamento obbligatorio.

Precisiamo che, nei momenti di crisi dell’azienda come quelli che comportano ingenti riduzioni del personale, il datore di lavoro può licenziare una categoria protetta, ma solo se il numero dei dipendenti rimasti sia inferiore alla quota di riserva di cui sopra prevista ex lege.

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Licenziamento in caso di gravidanza – Torna all’indice ^

 

Le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza (300 giorni prima della data presunta del parto) fino al termine del congedo di maternità e fino a 1 anno di età del bambino.

Esistono tuttavia delle eccezioni:

  • giusta causa di licenziamento della lavoratrice a prescindere dal suo status
  • cessazione dell’attività della lavoratrice
  • fine contratto
  • esito negativo nel periodo di prova


Il divieto di sospensione della lavoratrice vale negli stessi casi in cui opera il divieto di licenziamento, con la sola eccezione in caso di sospensione dell’attività dell’azienda o del reparto.

La lavoratrice in maternità è tutelata anche dal divieto di licenziamento in seguito a una procedura di licenziamento collettivo con l’unica eccezione configurata nella sospensione dell’attività dell’azienda.

Come impugnare il licenziamento – Torna all’indice ^

–  Il lavoratore che intende impugnare il licenziamento deve farlo entro sessanta giorni dalla data in cui riceve la lettera di licenziamento. –

Per farlo, deve inviare una lettera all’azienda che confermi la sua volontà inequivocabile di ricorrere contro il licenziamento.

Inoltre, deve presentare un atto di ricorso presso la cancelleria della sezione lavoro del tribunale ordinario entro centottanta giorni dalla data in cui invia la lettera di impugnazione.

Se il lavoratore desidera tentare una conciliazione, può richiederla all’azienda tramite l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Se l’azienda non si presenta alla conciliazione o se si presenta ma non si raggiunge un accordo, il lavoratore deve presentare un ricorso al Giudice del Lavoro entro sessanta giorni dalla mancata conciliazione.

In caso contrario, il lavoratore riprende a disporre di 180 giorni per presentare il ricorso al tribunale.

Reintegro del lavoratore e licenziamento – Torna all’indice ^

 

La reintegrazione del lavoratore a seguito di procedura di licenziamento da parte del datore di lavoro può essere disposta esclusivamente dall’autorità giudiziaria.

Quali sono le ipotesi in cui il licenziamento può risultare viziato?

  • Licenziamento nullo, ad esempio perché discriminatorio, ritorsivo, oppure intimato durante il periodo di gravidanza
  • Licenziamento orale, ossia comunicato verbalmente
  • ipotesi in cui la condotta contestata è punita con una sanzione disciplinare conservativa (per gli assunti pre 8 marzo 2015)
  • insussistenza del fatto contestato, ossia quando non è dimostrata in giudizio la condotta come riportata dall’azienda nella contestazione disciplinare e nella lettera di licenziamento
  • i casi in cui il licenziamento rappresenta una misura sproporzionata rispetto ai fatti realmente contestati (per gli assunti dal 7 marzo 2015 in poi)

Il dipendente che intende, quindi, essere riammesso in servizio è obbligato a comunicare la propria decisione entro e non oltre trenta giorni dallinvito del datore di lavoro” a riprendere servizio.

Se il dipendente non comunica la propria decisione, il rapporto è definitivamente risolto e il lavoratore ha diritto all’indennità sostitutiva.

Concludendo, quindi, in caso di licenziamento illegittimo con ordine di reintegrazione, il lavoratore ha diritto all’indennità risarcitoria e, nel caso in cui non voglia essere reintegrato, anche all’indennità sostitutiva.

Cosa succede in caso di mancata impugnazione del licenziamento – Torna all’indice ^

L’omissione di contestare il licenziamento entro il termine stabilito non comporta la validità del recesso del datore di lavoro, ma limita il diritto del lavoratore di accedere alla tutela giuridica tradizionale, pur conservando la possibilità di intentare un’azione di risarcimento ordinaria.

Per quanto riguarda la ripartizione dell’onere della prova nelle controversie relative al licenziamento, spetta al lavoratore dimostrare, come fatto costitutivo della sua pretesa, l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, del licenziamento e della rimozione dal posto di lavoro.

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 23/2015, il lavoratore preferisce ottenere un’indennità di licenziamento invece del reintegro.

Nel caso dei lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori continua ad applicarsi, mentre per quelli assunti successivamente si applica la normativa sull’indennizzo economico in base all’anzianità di servizio.

Pertanto, nel caso in cui un lavoratore sia stato licenziato ingiustamente, potrà richiedere un’indennità che varia da 4 a 24 mensilità in base agli anni di servizio, se così stabilito dal Giudice del Lavoro.

Licenziamento per giusta causa e tempestività della contestazione: la sentenza della Cassazione – Torna all’indice ^

 La Corte di Cassazione sezione lavoro con ordinanza n. 7467/2023, ha confermato il licenziamento per giusta causa di una lavoratrice, che aveva utilizzato l’auto aziendale per scopi personali, alla quale l’illecito disciplinare era stato contestato in ritardo rispetto al momento nel quale si era verificato. – 

Secondo la Corte, la tempestività della contestazione disciplinare deve essere valutata in base al momento in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza effettiva dell’infrazione, come parte del più ampio principio di buona fede e correttezza.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il principio di immediatezza della contestazione costituisce un elemento fondamentale per il diritto di recesso del datore di lavoro.

Secondo la Corte di Cassazione, per stabilire se un fatto sia stato contestato tempestivamente o meno, è importante considerare che il datore di lavoro ha la facoltà ma non l’obbligo di monitorare costantemente i propri dipendenti e di contestare immediatamente eventuali infrazioni al fine di evitare che la situazione possa peggiorare.

Non vi è alcun obbligo di legge a riguardo e non è possibile dedurlo dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, in quanto la sua presunta esistenza “sottrarrebbe alla radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato“.

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Il lavoratore licenziato per giusta causa ha diritto alla Naspi? – Torna all’indice ^

Il licenziamento per giusta causa costituisce una fattispecie di perdita involontaria del lavoro, in virtù della quale il lavoratore ha comunque diritto all’indennità Naspi dell’INPS, a condizione di soddisfare la seguente condizione: oltre alla disoccupazione, è richiesto un requisito contributivo di almeno tredici settimane di contribuzione utile nei quattro anni precedenti la disoccupazione.

Dal 2022, il requisito di 30 giorni di effettivo lavoro nei dodici mesi precedenti la disoccupazione è stato abolito.

Per quanto riguarda l’importo dell’indennità Naspi, questa si riduce progressivamente del 3% ogni mese a partire dal sesto mese di fruizione per la maggior parte dei beneficiari e dall’ottavo mese per coloro con più di 55 anni, un meccanismo noto come “décalage”.

Tuttavia, per i casi di disoccupazione fino al 31 dicembre 2021, la riduzione inizia dal quarto mese di fruizione.

Cosa si intende con licenziamento per disvalore ambientale – Torna all’indice ^

Ai fini del licenziamento per giusta causa, è fondamentale valutare l’atteggiamento del lavoratore rispetto ai doveri di impegno e lealtà, considerando anche l’impatto negativo sull’ambiente lavorativo.

– La Corte di Cassazione, con la sentenza nr. 304333 del 28 ottobre 2021, ha chiarito che anche un singolo comportamento scorretto, se grave, può giustificare il licenziamento, basandosi sui dettagli specifici del caso. – Nel caso specifico, il lavoratore aveva fornito false informazioni sulla sua posizione aziendale, influenzando gli altri dipendenti e compromettendo la fiducia e l’adempimento dei doveri contrattuali. –

Per valutare se il licenziamento è proporzionato alla violazione disciplinare, il giudice considera l’atteggiamento del lavoratore in termini di diligenza e fedeltà, tenendo conto del suo impatto sull’ambiente lavorativo, fungendo potenzialmente da modello negativo per gli altri dipendenti.

– La Corte di Cassazione, con la sentenza nr. 304333 del 28 ottobre 2021, ha chiarito che anche un singolo comportamento scorretto, se grave, può giustificare il licenziamento, basandosi sui dettagli specifici del caso. –


Nel caso specifico, il lavoratore aveva fornito false informazioni sulla sua posizione aziendale, influenzando gli altri dipendenti e compromettendo la fiducia e l’adempimento dei doveri contrattuali.

Per valutare se il licenziamento è proporzionato alla violazione disciplinare, il giudice considera l’atteggiamento del lavoratore in termini di diligenza e fedeltà, tenendo conto del suo impatto sull’ambiente lavorativo, fungendo potenzialmente da modello negativo per gli altri dipendenti.

Il licenziamento per giusta causa fa venire meno il diritto a monetizzare le ferie non godute? – Torna all’indice ^

Secondo l’ordinanza n. 19659 dell’11 luglio 2023 della Corte di Cassazione, il licenziamento disciplinare senza preavviso non impedisce al lavoratore di ricevere l’indennità sostitutiva delle ferie accumulate prima della cessazione del rapporto.

La Corte ha sottolineato che il dipendente ha il diritto di usufruire delle ferie maturate e, in mancanza, di ricevere un’indennità sostitutiva al momento della fine del rapporto di lavoro.

– In ogni caso, il datore di lavoro deve dimostrare di aver invitato il dipendente a prendersi le ferie, anche formalmente, e di averlo informato in modo adeguato e tempestivo.  –

In caso contrario, le ferie non godute andranno perse alla scadenza del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. È importante notare che se il lavoratore viene sospeso e successivamente licenziato a causa di reati commessi, ciò non influisce sul diritto alle ferie accumulate fino al momento della sospensione.

Il diritto alle ferie è strettamente legato all’effettiva prestazione lavorativa fino al momento della sospensione.

Licenziamento individuale e collettivo: cosa cambia e ruolo dei sindacati – Torna all’indice ^

Oltre alla possibilità per un’azienda o un ente di avviare una procedura di licenziamento individuale, è possibile, in determinati casi, iniziare un iter per attuare un licenziamento collettivo” che coinvolga più lavoratori contemporaneamente.

I licenziamenti collettivi seguono una disciplina più stringente perché risultano essere subordinati alle rappresentanze sindacali.

La legge di riferimento per i licenziamenti collettivi è la n. 223/1991, che distingue due fattispecie:

  • il licenziamento per riduzione del personale (articolo 24 comma 1)
  • il licenziamento di lavoratori in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (articolo 4 comma 1)

L’art. 24 individua i requisiti soggettivi di applicazione della disciplina, stabilendo che riguarda i datori di lavoro che contano più di 15 dipendenti e ne stabilisce i presupposti oggettivi che risultano essere diversi e comprendono la coesistenza di tre importanti circostanze:

  • deve esserci una riduzione o trasformazione di attività o lavoro
  • l’intenzione del datore di lavoro deve essere quella di effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni in ciascuna unità produttiva o in più unità produttiva nell’ambito del territorio della stessa provincia
  • i licenziamenti collettivi devono essere comunque riconducibili, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, alla medesima riduzione o trasformazione

La normativa in materia di licenziamenti collettivi si sofferma inoltre sui particolari strumenti straordinari di integrazione salariale, regolando i casi in cui non riescano a garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi e non possano utilizzare misure alternative.

Quali sono i motivi per i quali è possibile attuare il licenziamento individuale? – Torna all’indice ^

  • per giusta causa
  • per giustificato motivo soggettivo
  • per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento collettivo è possibile, invece, solo se l’azienda interessata ha più di 15 lavoratori e si decide di licenziarne almeno 5, in un arco temporale massimo di 120 giorni.

Il licenziamento collettivo avviene attraverso un atto scritto che deve essere comunicato individualmente a tutti i soggetti coinvolti, osservando il periodo di preavviso previsto dal contratto, nel quale devono essere indicati i motivi del recesso e i criteri di scelta adottati per individuare i soggetti da licenziare.

La procedura dovrà avvenire tramite precisi step, quali:

  • Comunicazione ai sindacati con spiegazione chiara e precisa dei motivi che hanno determinato la situazione
  • il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente e del personale abitualmente impiegato
  • i tempi di attuazione del programma di riduzione del personale
  • le eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale

Entro sette giorni da quando hanno ricevuto la comunicazione relativa al licenziamento collettivo, le rappresentanze sindacali aziendali e le rispettive associazioni possono richiedere un esame congiunto tra le parti per esaminare le cause entro quarantacinque giorni dalla data in cui è stata ricevuta la comunicazione e il suo esito va comunicato da parte dell’impresa all’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione, anche specificando i motivi se negativo.

Se i lavoratori interessati dal licenziamento collettivo sono meno di dieci il predetto termine è ridotto alla metà.

Se l’accordo non è raggiunto, le parti sono convocate per un ulteriore esame dal direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione ed è possibile formulare proposte per la realizzazione di un’intesa. Questo secondo esame, in ogni caso, deve concludersi al massimo entro trenta giorni da quando l’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione ha ricevuto la comunicazione relativa al primo esame congiunto tra le parti.

Dopo questo processo, nel termine massimo di sette giorni, il datore di lavoro deve comunicare per iscritto all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria l’elenco dettagliato dei lavoratori licenziati, comprensivo di luogo di residenza, qualifica, livello di inquadramento, età e carico di famiglia e modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

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Licenziamento: cosa spetta al lavoratore. Effetti previdenziali e assicurativi – Torna all’indice ^

 

Al lavoratore licenziato spetta il trattamento di fine rapporto e potrà percepire l’indennità di disoccupazione (Naspi) che viene corrisposta al lavoratore per un numero di settimane pari alla metà delle settimane contributive degli ultimi quattro anni.

È inoltre previsto che, “con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2022,  la  Naspi si riduce del 3 per cento ogni mese a decorrere dal primo giorno  del sesto mese di fruizione; tale  riduzione  decorre  dal  primo  giorno dell’ottavo mese di fruizione  per  i  beneficiari  della  Naspi che abbiano compiuto il cinquantacinquesimo anno di  età  alla  data  di presentazione della domanda” (art. 4 Decreto Legislativo 4 marzo 2015, n. 22).

Ticket licenziamento per il lavoratore – Torna all’indice ^

 
Il ticket licenziamento è quel contributo che il datore deve versare all’INPS in caso di cessazione di rapporti di lavoro dipendente a tempo indeterminato che danno diritto alla NASpI (nuova prestazione di Assicurazione Sociale per lImpiego).

Il suo importo è adeguato annualmente sulla base dei dati dell’inflazione in quanto legato al trattamento di disoccupazione. Il ticket non è dovuto in caso di cessazione dei contratti a termine, sui quali il datore di lavoro è tenuto al versamento del contributo NASpI.

Oltre che per i licenziamenti (giustificato motivo oggettivo, soggettivo, giusta causa) il contributo è dovuto in caso di:

  • Dimissioni per giusta causa;
  • Dimissioni nel periodo tutelato per maternità;
  • Risoluzione consensuale a seguito della conciliazione obbligatoria presso la Direzione Territoriale del Lavoro nei casi in cui il datore voglia licenziare per giustificato motivo oggettivo;
  • Risoluzione consensuale del rapporto a seguito del rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra unità produttiva distante oltre 50 km dalla sua residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico;
  • Mancata trasformazione dell’apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Versamento contributi Inps quando il lavoratore licenziato rinuncia all’indennità di mancato preavviso – Torna all’indice ^

La Corte di Cassazione, con la sentenza 13 maggio 2021, n. 12932, ha stabilito  che l’obbligo di versare i contributi sull’indennità sostitutiva del mancato preavviso sorge nel momento in cui il licenziamento acquisisce efficacia.

In tale momento nasce anche per il lavoratore il diritto all’indennità di preavviso. Ne consegue che “non ha alcun effetto sull’obbligazione previdenziale la successiva rinuncia alla citata indennità da parte del lavoratore licenziato dato che tale rinuncia arriva dal lavoratore e non dall’INPS che è il titolare del negozio giuridico”.

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