Maltrattamenti familiari e conviventi
Secondo la dottrina e la giurisprudenza consolidate può classificarsi come “maltrattante” qualsiasi complesso di atti prevaricatori, vessatori e oppressivi reiterati nel tempo, tali da produrre nella vittima un’apprezzabile sofferenza fisica o morale, o anche da pregiudicare il pieno e soddisfacente sviluppo della personalità della stessa.
Oggi, in particolare, il reato noto come maltrattamenti in famiglia si configura ogni qual volta un soggetto maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte.
Fece molto scalpore, qualche anno fa, la sentenza della Corte di cassazione numero 36503/2011, che ha confermato la condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia nei confronti di una madre e di un nonno che, per ‘eccesso di protezione e attenzioni’, avevano di fatto impedito un armonico sviluppo psico-fisico del figlio/nipote.
La pena base per il reato di maltrattamenti in famiglia è quella della reclusione da due a sei anni.
Tale pena è aggravata in tre ipotesi:
• se dal fatto deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni
• se dal fatto deriva una lesione personale gravissima è prevista la reclusione da sette a quindici anni
• se dal fatto deriva la morte è prevista la reclusione da dodici a ventiquattro anni.